Animali Politici?
Non occorre aver trascorso gli anni della propria adolescenza sui banchi di un liceo classico per conoscere la celebre affermazione di Aristotele secondo cui “l’uomo è per natura un animale politico“.
Quello che invece oggi sembra sfuggirci è il senso più profondo di una simile asserzione, all’apparenza banale ma in realtà carica di risvolti inaspettati.Il filosofo originario di Stagira non vuole infatti limitarsi semplicemente a ricordare come l’uomo sia nato per vivere integrato nella comunità dei suoi simili, vuole compiere un passo ulteriore, ovvero indicare all’uomo quale sia il suo compito all’interno di tale comunità.
Il compito, ci dice Aristotele, va ricercato nella sua natura politica: l’uomo nasce per occuparsi della gestione della polis (termine greco che indica la città) e indirizzarla verso il raggiungimento del bene collettivo.
Nessuno può sottrarsi alla chiamata, tutti i polites, i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione economica e sociale, devono apportare il proprio contributo all’amministrazione della cosa pubblica, per realizzare quella forma di governo che l’autore definisce appunto politeia, ciò che noi oggi comunemente indichiamo con il nome di democrazia. La politeia rappresenta il governo ottimo, contrapposto ai regimi degenerati della tirannide e dell’oligarchia, il dominio dispotico rispettivamente di uno solo o dei pochi esercitato nell’interesse esclusivo dei detentori del potere e non dei cittadini.
Il quadro ora tratteggiato, probabilmente, oggi appare ai più come l’astratta teorizzazione operata da un filosofo del diritto. Eppure Aristotele, quando nel IV secolo a.C. si occupa di questi argomenti, ha in mente una realtà storicamente esistita, ben precisa e identificabile: quella dell’Atene del V secolo a.C., dove, sotto la guida di Pericle, la politeia si realizzò forse nella sua forma più alta, con grande orgoglio degli ateniesi.
Pericle infatti, come ci tramanda lo storico greco Tucidide, afferma con vanto in un suo celebre discorso:” Noi (ateniesi) pratichiamo un sistema politico che non imita gli ordinamenti dei vicini, semmai siamo noi modello per qualcheduno anziché imitare noi gli altri. […] Per quanto riguarda il peso politico non è tanto l’appartenenza ad una categoria o ad un gruppo sociale, quanto la capacità individuale che consente di accedere agli onori. Né la povertà, se uno ha qualcosa da dire, costituisce un impedimento. E’ secondo libertà che noi facciamo politica” (Tucidide, II, 37).
Alla luce della riflessione di Aristotele, si potrebbe aggiungere che quello descritto da Pericle è il solo modo possibile di fare politica, se consideriamo l’etimologia del termine. Solo nel momento in cui tutti si comportano quali animali politici, adoperandosi quindi per il bene della polis, si compie effettivamente un’attività qualificabile come Politica.
Giunti a questo punto la domanda sorge inevitabile: possiamo noi, nell’attuale contesto storico in cui viviamo, definirci quali animali politici?… altrettanto inevitabile giunge la risposta: no.
La secca negazione non discende naturalmente dal fatto che oggi, a differenza degli antichi ateniesi, non partecipiamo più personalmente alla pubblica assemblea al cui interno discutere i problemi della comunità.
Sarebbe impossibile riunire in unico spazio sessanta milioni di individui e pretendere che questi dialoghino fra loro accordandosi sulle decisioni da adottare. Per fronteggiare questo ostacolo logistico abbiamo quindi deciso di dotarci di un Parlamento dove inviare solo alcuni nostri rappresentanti, ma in questo modo siamo approdati all’estremo opposto della situazione ateniese.
Della gestione dello Stato oggi si occupa (meglio, si dovrebbe occupare) in via esclusiva il parlamentare, mentre il cittadino si limita a tracciare una croce sulla scheda elettorale: la sua coscienza è salva, il suo dovere è stato compiuto, pazienza se poi le sorti del paese andranno nelle mani di “professionisti” individuati in base a criteri discutibili e il cui attaccamento all’aristotelico bene collettivo è quantomeno dubitabile.
La politica non è questo. Dobbiamo ricordarcene più spesso e donarle nuova dignità, tenendo sempre presente che la nostra partecipazione costante e attiva rappresenta l’unico antidoto contro le temibili alternative alla politeia presentate da Aristotele: l’oligarchia e la tirannide.