L’Unità, il quotidiano storico che da molti decenni scandisce con i suoi numeri il passare dei giorni, da domani, pare non uscirà più nelle edicole.
Per comprendere fino in fondo la gravità della situazione basta leggere, anche on line ciò che c’è scritto sul numero di oggi e, sinceramente, dovesse essere confermata la chiusura, sarebbe veramente una grande perdita e non solo per i suoi lettori ma per tutti poiché sarebbe l’evidenza della nostra incapacità di salvaguardare le nostre conquiste storiche di democrazia per cedere all’indifferenziato mutismo della globalizzazione.
Come l’albero non può vivere senza le sue radici, così un popolo non può dirsi vivo se non mantiene le sue caratteristiche e la sua storia.
Per chi come me è nato e cresciuto a Torino più di cinquant’anni or sono, la preannunciata chiusura dell’Unità fa riemergere un’altra grossa delusione avvenuta nel 1983 anno in cui, dopo 135 anni di storia (l’anno di fondazione era il 1848), un’altra importante testata giornalistica, La Gazzetta del Popolo, ha chiuso i battenti.
Non è una questione di parte politica che vede sminuire i propri ideali ma è questione di vedere come ‘la modernità’ mal gestita, annulli e distrugga quanto di grande ed assolutamente degno è scaturito dai grandi pensatori italiani.
L’Unità nasce nel febbraio del 1924 ad opera di Antonio Gramsci (22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) che viene ricordato dai più come uomo politico in quanto, nel 1921, è stato uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia ma, d’accordo o no che si possa essere con le sue idee, è stato anche filosofo, critico letterario e giornalista.
La grandezza del pensiero e dell’opera di Antonio Gramsci è universalmente riconosciuta ed il suo intento di realizzare un giornale di sinistra che collaborasse a creare unità tra le categorie proletarie non può essere derubricata come un qualcosa di vecchio e stantio che non serve più.
L’unione delle forze per ottenere i propri diritti è ragione sufficiente ed è il propulsore di ogni iniziativa atta alla civilizzazione continua della società in cui si vive poiché solo con il riconoscimento dei diritti dell’essere umano ci può essere civiltà.
Molte sono le ragioni che, molto probabilmente, hanno contribuito al raggiungere il pessimo risultato di questa chiusura ma non è possibile affermare che la colpa sia di Internet.
Internet è un mezzo che può essere veramente insostituibile ma, come tutti i mezzi, dipende dall’uso che se ne fa.
I giornali on line non sono la causa della chiusura dei giornali cartacei che, a mio giudizio, va ricercata nell’incapacità di veduta dei responsabili di testata e degli editori che non hanno saputo cogliere fino in fondo le trasformazioni in atto e, quindi, non hanno saputo rinnovare i giornali cartacei in modo soddisfacente.
L’uso sempre più consueto di Internet ha portato una velocizzazione impensabile fino a qualche anno fa della trasmissione delle notizie. Oggi tutto si sa in tempo reale e, oltretutto, per fare questo non c’è bisogno di un giornalista ma basta un reporter.
Il reporter si trova sul luogo della notizia e la trasmette esattamente per come la vede. Il giornalista, quello vero, è tutt’altro in quanto è un professionista che, oltre ad aver innata la capacità di scrivere i suoi pensieri in modo comprensibile, nel dare la notizia, cerca anche di scovare quali siano le motivazioni nascoste, i precedenti e le future implicazioni del fatto accaduto.
Il giornalista, quello vero, prima di scrivere pensa e prima di pensare osserva ed intuisce; poi cerca di comunicare, a chi leggerà il suo articolo, ciò che la notizia che sta proponendo, a suo giudizio, può portare. E’ chiaro che la sua visione sarebbe in qualche modo ‘oggettivamente personale’ ma non abbastanza personalizzata da escludere che i suoi lettori possano, dopo aver attentamente rimuginato quanto letto, trovarsi a riflettere sugli argomenti esposti e convincersi di essere d’accordo in tutto o in parte su quanto espresso.
Detto questo, rimane assolutamente consequenziale che i quotidiani avrebbero dovuto cambiare la loro impostazione diventando ciò che su internet non si trova e, cioè, quello strumento di approfondimento delle notizie che oggi non sono.
Chi cerca la notizia su Internet, in genere, vuole solo sapere cosa sia successo mentre chi spende denaro per comprare un quotidiano, vorrebbe, forse, tuffarsi nella notizia per comprendere cosa ci stia sotto.
Oggi come oggi, trovo assurdo stampare giornali tanto ricchi di pagine che ti impongono di dover scegliere di dedicare alcune ore alla loro lettura. Non credo sia il numero delle notizie riportate a dare validità ad una testata ma, piuttosto, penso che sia il modo in cui le notizie vengono proposte.
Il giornale non è un prodotto che possa sottostare solo ai dettami del marketing, il giornale è un prodotto anche di ingegno e, se l’opera di ingegno non c’è, perde il suo valore aggiunto; è proprio questa perdita che fa si che si perda la determinazione a spendere denaro per acquistarlo. Bisognerebbe che gli editori ricordassero anche le finalità altre che nulla hanno a che fare con il mero guadagno per far si che testate storiche non debbano chiudere.
Come già detto, le motivazioni che hanno indotto la chiusura dell’Unità sono molteplici e non tutte sono state prese in visione in questo articolo ma, come detto nella presentazione del Free Life Magazine, se vogliamo tornare a riappropriarci della nostra vita libera non possiamo sottovalutare le opere d’ingegno che sole possono darci gli spunti di riflessione giusti per valutare in noi stessi come vogliamo essere.